Digital Pr vs Influencer Marketing

Finalmente dopo 5 mesi mi rimetto a scrivere sul mio caro e adorato blog, con il lavoro e lo stress della vita quotidiana il tempo scarseggia sempre!

Oggi mi piacerebbe parlare di due servizi che spesso un’agenzia web propone sul mercato e che secondo me non vanno visti come duellanti, ma come parte dello stesso organismo.

Iniziamo con le Digital Pr, disciplina nata per due ragioni: adattarsi all’arrivo dei blog e dei new media e tutelare la reputazione del brand.

Le opportunità delle Digital Pr sono tantissime: veicolare dei contenuti di qualità, farli ospitare all’interno di blog seguiti e ben curati ed infine conquistare un brand ambassador che dia voce al prodotto o servizio ecc (non mi dilungo troppo su questa parte visto che l’ho già affrontata un sacco di volte). Le criticità di questo mestiere sono elevate: passaparola negativo, gestione complessa dei collaboratori a causa di budget spesso limitati e limitanti, pubblicazione di contenuti ambigui che possono essere mal interpretati.

Come si dice in ogni mestiere c’è l’altra faccia della medaglia giusto?

Se invece vi dico: Influencer Marketing a cosa pensate? Sappiate che lo conoscevo già, ma negli ultimi mesi mi sono abbastanza documentata ed ho parlato con degli esperti di settore.

Questa disciplina crea un meccanismo che assomiglia quasi ad un contest, lancia un brief su delle piattaforme create ad hoc e fa in modo che gli utenti (influencer di vari settori) possano lavorarci su. Ad esempio condividere la poesia di un noto scrittore per dare visibilità ad una catena di librerie, oppure mettere in rilievo un trailer di un film in uscita (si parla di vere e proprie campagne). Queste attività naturalmente non sono spontanee, si parla di marketing, di conseguenza l’unico limite è che il follower sentendosi pressato a leggere un contenuto dalla forte valenza promozionale lo eviti come la peste.

Negli ultimi mesi l’influencer marketing ha ottenuto moltissimi riscontri positivi perchè: ha dei costi relativamente bassi, ha un meccanismo di benefit garantiti verso i partecipanti e ha anche una viralizzazione dei contenuti elevata.

socialmediatoday

Credits: Socialmediatoday

In vari settori le Digital Pr e l’influencer marketing vengono percepiti come nemici, ed è qui che si commette un grosso errore, queste due strategie web se lavorano insieme hanno più successo.

La prima azione la trovo più adatta per quelle aziende che vogliono veicolare dei contenuti esclusivi, potenziare la brand awareness e generare anche un lavoro editoriale ad hoc. Nelle Digital Pr i costi sono più alti e spesso si parte da un minimo di 80€ ad un massimo di 500€ (tutto dipende dal blogger** che coinvolgi e dal lavoro che commissioni).

La seconda azione invece è accessibile sul piano economico ed è più adatta a grosse catene che hanno già un brand forte e ben radicato sul mercato, che si pongono come obiettivo quello di dare visibilità ad una singola iniziativa. I tempi sono anche più brevi, inoltre il lancio del progetto  porta ad un engagement attivo. L’Influecer marketing ha un forte carattere analitico (è possibile capire quante persone si sono avvicinate all’iniziativa e che passaparola hanno generato).

E’ importante anche segnalare che le Digital Pr nascono dal mondo della comunicazione e delle pubbliche relazioni, hanno una piccola dimensione più vicina al marketing, ma devono restare genuine perchè se no rischiano di perdere il loro più prezioso potere: la relazione di lungo periodo con autori di qualità e con utenti che un domani si possono tramutare in ottimi clienti.

Spero che questo post vi abbia chiarito alcuni dubbi sulle InternetPr e Influencer Marketing, e che magari vi abbia incuriosito a cercare maggiori informazioni.

Se volete partecipare a delle iniziative di Influencer Marketing vi consiglio le seguenti piattaforme:

http://www.tapinfluence.com (Estero)

https://fango.me/ (Estero)

https://buzzoole.com/ (Italia)

 

 

**di solito sono top influencer

 

DIGITAL PR: una professione da Thriller

Finalmente riesco a dedicare qualche minuto al mio blog, so benissimo di averlo trascurato, ma gli impegni quotidiani lasciano poco tempo alla scrittura creativa.

Oggi parlerò di un argomento che mi sta molto a cuore e che tocca alcuni punti salienti del mio mestiere. Mi occupo da un pò di anni delle Digital Pr (per chi non lo sapesse è l’attività di promuovere l’immagine aziendale sul web).

Il mio lavoro richiede una buona dose di pazienza ed una buona padronanza della lingua italiana, tutto inizia con un semplice brief commissionato dal cliente e alla fine si arriva alla consegna dei risultati (redazionali ottenuti o uscite press).

Questa professione non è per tutti, non ci si può improvvisare comunicatori, alla base di un valido Digital PR c’è un 50% di dote naturale ed un 50% di formazione e tanto sudore della fronte. Praticare questa professione nel ventunesimo secolo significa accontentare le esigenze editoriali del blogger e giornalista web e raggiungere quel traguardo tanto agognato dall’azienda cliente.

Roberta Pagani- La rabbia nel cuore

Credits: Roberta Pagani- La rabbia nel cuore

Ma quali sono gli ostacoli che ogni giorno un esperto di pubbliche relazioni web incontra?

  • La Maleducazione, diffusissima e a volte ingiustificata. Ti rivolgi con un tono semplice, chiaro e incisivo e ricevi degli insulti. Mi è capitato di recente di inviare una mail ad una blogger (abbastanza nota) per coinvolgerla in un progetto carino, garantito da un gettone (elemento da non trascurare visto che molti non retribuiscono l’attività editoriale) e di ricevere un feedback di fuoco! Ho letto delle frasi ricche di rancore e del tutto inadeguate. Capisco che la blogosfera sia stata invasa dal marketing e che molte bogger lo vedano come il diavolo, perchè ha cambiato le dinamiche in rete e magari a contribuito nella diffusione di tanti problemi. Attenzione che se vi viene proposta una collaborazione retribuita basta rispondere con due massimo tre parole: NO GRAZIE o NON MI INTERESSA, non serve a niente offendere!
  • L’ avidità (è anche uno dei 7 peccati capitali) non è possibile che per 1000 battute, un link dofollow e l’approfondimento di un tema carino (spesso fornito dalle digital pr) debbano essere pagate dalle 200€ in su! Si parla di 2 ore di lavoro ragazzi e spesso i clienti non hanno un budget così ampio da rilasciare per questa attività. Parola del giorno RIDIMENSIONIAMO LE ASPETTATIVE.
  • L’ignoranza (Dal lat. ignorantia, der. di ignorare ‘ignorare’), poca padronanza della lingua italiana, perchè lo affermo? bè con il mio mestiere mi capita di frequente di rilevare degli errori agghiaccianti, soprattutto in fase di revisione delle bozze. Volete qualche idea? eccoci pronti: ripetizioni di aggettivi e verbi e uso inappropriato delle doppie consonanti (es. maneggiare diventa manegiare ecc). Sbagliare una volta è umano perseverare è diabolico.
  • La Presunzione, ehi io sono una blogger sono “Cool” tu chi cavolo sei? ho conosciuto persone che al pronunciamento della parola “Umiltà” hanno avuto dei conati! Se un Digital Pr esperto ti fa notare un grosso errore nel testo, dovresti domandarti (terapia d’urto che consiglio e che pratico abitualmente) “Dove ho sbagliato?” “Che cosa mi può essere sfuggito?” e “Come posso rimediare?”. Le blogger al momento del feedback post segnalazione dell’errore sono: offese, acide e spesso insultano il comunicatore, risentimento? Frustazione? No secondo me è poca voglia di mettersi in gioco.
  • La Superficialità, alcune giornaliste web e blogger affrontano i temi aziendali pensando “Questo è un bel pollo da spennare” “Cavoli quanto ci guadagno??”. Tutti diamo valore ai soldi, figuriamoci, ma si scrive anche per passione, se un tema solletica la curiosità perchè non approfondirlo?

Ho conosciuto nella mia breve carriera tantissime persone volenterose, umili e discrete che oggi hanno ottenuto un successo pazzesco nella blogosfera. Imparare dai propri errori, e dunque ammettere di non essere perfetti aiuta credetemi. Se un testo è scritto male è un danno in primis a voi aspiranti scrittrici e solo alla fine a noi Digital PR e se un gettone è scarso non sempre è frutto della pidocchieria aziendale.

Con questo approfondimento non voglio fare delle generalizzazioni, come dicevo nel precedente paragrafo ci sono delle blogger di qualità e che stimo tantissimo, ma attenzione il mio mestiere non è semplice e l’abbassamento della qualità comporta un deficit per tutti!

Cerchiamo di collaborare di più, di venirci incontro, di valorizzare entrambi i ruoli senza conflitti e soprattutto senza insulti.

7 SEGNALI CHE TI SALVERANNO DA UN POSTO DI LAVORO DA INCUBO!

Tempo fa su Event Report è uscito un articolo intitolato: “5 buone ragioni per rifiutare una proposta di lavoro”, un pezzo davvero interessante che mi ha ispirata per la creazione di questo post.

Piccola premessa: sono passati 9 anni dal conseguimento della mia laurea e devo ammettere che di colloqui ne ho fatti tanti (per questo grazie di cuore caro precariato), dandomi un vantaggio quello di possedere uno speciale radar rosso che di solito mi aiuta ad evitare i posti di lavoro da INCUBO. Uno strumento che funziona bene e che vorrei in qualche modo condividere con voi.

Ecco qui di seguito le 7 regole fondamentali per salvarsi dai buchi neri del mondo del lavoro:

1) Occhio all’ambiente di lavoro: sto parlando della pulizia, degli spazi (il livello di igiene ti racconta sempre qualcosa, ho visto dei posti dove le formiche erano più popolari della cancelleria) e l’estetica del luogo. Se notate che i dipendenti sono ammassati come galline d’allevamento, perchè le scrivanie sono strette e vicine tra loro, oppure c’è troppo disordine non esiste un archivio e ci sono poche finestre l’unico consiglio che vi dò è AGGIUNGETE QUESTO POSTO DI LAVORO NELLA VOSTRA LISTA NERA!

Mi è capitato di lavorare in ambienti poco puliti e di non avere neanche lo spazio per distendere le gambe e credetemi nel rendimento tutto questo incide. Occhio anche alle sedie, se sono dure e poco comode la vostra schiena si romperà facilmente e avrete dei dolori pazzeschi (anche qui ci sono passata).

2) Attenti alla tipologia di impresa: è importante distinguere dall’azienda normale (PMI o Multinazionale) all’azienda familiare, nel primo caso i colleghi sono al tuo stesso livello (grande uguaglianza) e se uno esagera saprai come rimetterlo al suo posto, nel secondo caso invece le cose si complicano. In un’azienda familiare spesso (l’ho visto in molte occasioni) chi affianca il boss è il figlio o la figlia e nel 80% dei casi questi ultimi scaldano molto bene la sedia (confido sempre nelle favolose eccezioni) e se ti mancano di rispetto oppure non fa qualcosa non lo puoi di certo mandare a quel paese o segnalare alla direzione. Se il tuo lavoro verrà coordinato e organizzato dal parente stretto del boss assicurati che: a) Sappia di quello che sta parlando (percorsi di studi, esperienza lavorativa sufficiente da comandare qualcuno e da non farlo apparire come un povero idiota ecc) e b) lavori (promozione dei progetti on going, operatività quando è richiesta, rispetto delle scadenze e puntualità). Anche la puntualità non è da tralasciare, infatti se notate che il figlio/a del capo arriva alle 10 in ufficio, passa il suo tempo al telefono, accoglie gli amici e parenti con un sorriso e una calda tazza di tè perdendo 6h della giornata lavorativa allora non è un posto in cui valga la pena faticare e lavorare. Non c’è peggior cosa di vedere i propri progetti prendere polvere per colpa dell’inadeguatezza altrui.

3) Occhio all’aspetto economico: se durante il colloquio o nei primi giorni di prova la maggior parte dei colleghi non ha un contratto, NON VA BENE questo indica mancanza di rispetto verso il lavoratore, implica degli orari assurdi (chi lo dice che alle 19 massimo si termina?) e anticipa una probabile  inaffidabilità sui pagamenti.

urlo

Copyright: feminspire.com

4) Cercate di percepire il mood interno: i colleghi di lavoro non vedono l’ora di essere a lavoro? Oppure hanno sempre un sorriso e una buona parola per tutti, cavoli o lavori per Google oppure sei finito in Paradiso. Spesso si incontra della gente esaurita, che supera le 45 ore alla settimana, che magari resta incatenata in un posto di lavoro perchè non ha alternative e le bollette aumentano. Questo mood è molto triste. Ti spiega come tante persone possano cedere a delle angherie, a dei ricatti e magari anche a del mobbing costante solo per non avere il conto corrente in rosso e avere qualche soldo per mangiare una pizza ogni tanto.

5) Gli orari di lavoro: se è concordato che settimanalmente lavorerai 40 h alla settimana certo con un minimo di flessibilità parliamo di 42h,  allora perfetto, ma se inizi a notare che tutti i giorni  non esci prima delle 20 dall’ufficio, che di frequente devi essere reperibile nei week end e soprattutto i lavori ti vengono assegnati a fine giornata tipo alle 17 a causa dell’organizzazione malata interna, ti prego e ti scongiuro SCAPPA DA LI’.

6) Il ruolo professionale non è chiaro: se durante il colloquio ti dicono che cercano un contabile e poi dopo 1 settimana ti trovi a dover ritirare i panni sporchi in lavanderia del boss c’è qualcosa che non va. Se è un favore sporadico non c’è nulla di male, però se inzia a diventare una routine prova a domandarti se lavorare lì dentro ne valga davvero la pena. Trascureresti il tuo vero lavoro per correre dietro a delle faccende che saprebbe fare pure tuo nipote di 11 anni.

7) La professionalità del boss: al fine di realizzare un finale da urlo ho lasciato questo punto per ultimo. Ho incontrato nella mia carriera (breve) dei titolari fenomenali, con mille lauree, capacità di vendere qualsiasi cosa oppure una sensibilità verso l’innovazione favolosa. Ci sono però anche tanti fuffologi, o venditori di fumo come li chiamo io (anche nei 20 mn di un colloquio qualcosa emerge) gente che fino a qualche giorno fa gestiva una catena di grandi magazzini oppure aveva un’agenzia di viaggi per over 70 che pensa che in poco tempo e con dei dipendenti dai poteri magici (solo questi lo aiuterebbero) possano trasformarlo nel nuovo Steve Jobs. GROSSO ERRORE per il tuo business (aumentano i debiti e diminuiscono le entrate) e per l’immagine (le aziende clienti o i fornitori non ti prenderanno mai sul serio).

E’ importante sottolineare un ultimo aspetto che ritengo di cruciale importanza, oggi la crisi economica ha trasformato molti dipendenti in pedine di un gioco alquanto spiacevole, la tipica frase: “Ti pago e dunque ti posso trattare come schiavo” è sempre più in uso e li mette molto in difficoltà. Un lavoratore è una risorsa preziosa per l’azienda, deve appassionarsi, deve essere motivato, e vedrete che prima o poi questa catena positiva darà i suoi frutti.

Spero che questa mini guida con le 7 indicazioni di sopravvivenza serva a qualcuno e lo metta in guardia da dei posti di lavoro inutili e pessimi.

Crudeltà o Vanità?

Ieri sera ho visto un servizio di REPORT che mi ha lasciata stordita, l’argomento choc del programma era lo svelare quello che esiste dietro la vendita di un prodotto di lusso e mostrare così un mondo fatto di sfruttamento, maltrattamenti e ipocrisia.

Il protagonista del servizio era la nota azienda di moda MONCLER, conosciuta in tutto il mondo per i suoi piumini trendy e costosi (fascia alta anzi altissima). Durante il programma tv viene raccontato come il gruppo fashion abbia negli ultimi mesi esternalizzato la produzione dei capi spalla dall’Italia all’estero, precisamente in Romania ed abbia utilizzato delle materie prime provenienti dall’Ungheria. A questo punto vi domanderete: “Che novità, lo fanno buona parte delle aziende italiane” ed è qui che interrompo la catena dei vostri pensieri con un altro quesito: “Quanti sfruttano gli animali e propongono un rapporto qualità prezzo inesistente?”.

Copy: toocutethings.blogspot.com

Copy: toocutethings.blogspot.com

Ecco i temi caldi del caso Moncler:

LE MATERIE PRIME, sono le piume d’oca, un materiale molto ricercato dalle aziende di moda internazionali. Gli allevatori ungheresi che riforniscono la Moncler maltrattano gli animali, infatti per ottenere la famosa piuma, delle persone se così vogliamo definirle le strappano con forza dall’oca lasciandola stordita e sotto choc, infatti alcune vengono ferite e disinfettate in loco, altre non hanno neanche la forza di camminare. Io sono una persona super sensibile e credetemi quando ho visto certe inquadrature di Report mi veniva da piangere.

LA PRODUZIONE DEL CAPO, viene affidata ad un paese che non sa neanche che cosa significhi l’alta sartoria, i pezzi vengono assemblati e imbottiti della piuma d’oca ed il prodotto esce dalla fabbrica pronto per il retail.

IL RAPPORTO QUALITA’/PREZZO, non c’è, i piumini della MONCLER al pubblico costano all’incirca sui 1.000 euro poi dipende naturalmente dal modello ma il costo di produzione è di 30 euro. Vorrei inoltre sottolineare come ci sia la totale assenza di alta sartorialità, visto che durante il programma televisivo anche i direttori di produzione segnalavano dei difetti tecnici sui prodotti. Aggiungo inoltre un piccolo chiarimento e ringrazio il popolo di Facebook che con le sue critiche da modo di ampliare il raggio di azione e pensiero, se un capo costa 1000 euro e dunque si posiziona in una fascia medio alta e perchè si tratta di un articolo di lusso che vive di:  marketing, immagine, qui il brand è il vero traino di tutto. Ora mi domando e vi chiedo: “Dopo aver visto un servizio tv come quello di domenica sera ve la sentireste di seguire quel marchio? Vi sentite comunque cool a indossarlo? Mmh ne dubito”. Ci saranno comunque i soliti che andranno in negozio ed acquisteranno il capo spalla senza battere ciglio, ma la democrazia è anche questo rispettare le scelte altrui.

Ritornando al discorso delle materie prime, se cerchi la qualità devi puntare al meglio e riconoscere il lavoro umano, evitare di torturare degli animali e soprattutto curare nei minimi dettagli la filiera produttiva!

Questo racconto agghiacciante effettuato dall’ottimo staff di Report ha suscitato come potete immaginare un passaparola negativo sui vari social network, ad es sulla fan page italiana di MONCLER la parola INDIGNAZIONE sintetizza il mood degli utenti

Ecco qualche verbatim di esempio:

Ok 1

ok 2

ok 3

In questo momento non vorrei essere la Social Media Manager di Moncler per rimediare a questo disastro, ma quali sono le soluzioni?

1) Riportare la produzione in Italia, sì costa 30 euro in più, ma magari le cuciture sono un pelo più decenti, no?

2) Donare qualche milione ad un ente che protegge gli animali dai maltrattamenti, si sarebbe proprio un bel gesto

3) L’Ad dovrebbe fare un bel discorso in pubblico e magari chiedere scusa ai consumatori che per tanti anni hanno creduto nell’azienda e nel brand!

Questo servizio di Report, mi ha davvero sconvolta, e se adesso c’è il delirio in rete sono felice che la democrazia 2.0 dia l’occasione a tutti di dire la propria opinione e magari di aspirare ad un futuro migliore con maggiore riguardo alla etica!

NB: La Moncler ha risposto alle critiche in rete con il seguente comunicato stampa http://goo.gl/W5dKww

Schiavi 3.0

Ciao a tutti,

finalmente dedico una fetta del mio tempo al blog, premetto sono consapevole di averlo trascurato, ma ho dovuto affrontare varie “Prove cruciali” che sono del tutto naturali per una over 30.

Colgo l’occasione di questo tanto atteso ritorno alla web editing per affrontare un argomento che mi sta molto a cuore, cioè quello della ricerca del lavoro e del confronto tra domanda (noi poveri disoccupati) e offerta (le care aziende furbacchione). Come sapete da gennaio è partita la mia caccia all’occupazione e devo dire che è difficile trovare un micro spazio dove mostrare le proprie capacità, durante questo strano viaggio ho notato che gli altri candidati spesso sono messi peggio (lo dico con tutta la affettuosità del mondo) e che il mercato del lavoro fa acqua da tutte le parti.

Mi spiego meglio, di recente ho partecipato ad un colloquio di gruppo per addetta alle vendite che mi ha dato molte ragioni su cui riflettere, ecco i punti principali:

1) Tristezza infinita, credetemi ci sono delle ragazze bravissime  e competenti che pur di portare 100 euro a casa sarebbero disposte a pulire i pavimenti e il wc del negozio;

2) Mancanza di professionalità da parte della famosa “Offerta di lavoro”, non sanno quante ore farti fare al giorno, pensano che la gente sia disposta a ballare anche il tip tap mentre vende un prodotto, insomma devono chiarirsi le idee amici miei!

3) Nessun Rispetto convochi un sacco di persone per un lavoro che durerà due settimane e 2h al giorno?? Ma cavoli uno come copre le spese?? Anche solo se vai con l’auto sostieni dei costi, e sfortunatamente non esiste ancora il teletrasporto.

Eccomi anche ad affrontare un secondo argomento, quello delle competenze richieste dalle aziende, soprattutto per il digital. Infatti nel mio settore devi essere un alieno, cioè saper parlare almeno 3 lingue, l’inglese deve essere fluente (vogliamo parlare delle accademie italiane? E della mia teacher che raccontava di sua figlia e dei suoi problemi familiari durante le superiori??), devi conoscere come un Dio Photoshop e tutti i programmi di grafica (ehi non ho studiato per fare la Art director ma per lavorare nella comunicazione) se desideri firmare un contratto. Ho la sensazione che sia stata lanciata la “Svendita del know how” cioè la possibilità di assumere una sola persona che come la dea KALI’ fa mille cose contemporaneamente dalle 9.00 alle 11.00 è grafica, dalle 11.00 alle 13 è pr e dalle 15 alle 18 è social media expert! Ehi aziende facendo così sicuramente risparmiate (meno contributi e meno contratti) però ricordate che il risultato finale sarà deludente. Uno staff di lavoro ha successo se unisce più teste e più competenze!

Che cosa è cambiato da quando mi sono diplomata io nel 2000? Mille cose: Non c’è più il rispetto per il lavoratore, tanta gente lavora in nero, ci si accontenta di guadagnare poco perchè tanto c’è sempre chi sta peggio e soprattutto si è disintegrata l’ambizione!

Molti dopo aver letto questo post diranno: “Se ti fa tanto schifo com’è qui la situazione perchè non te ne vai all’estero?” ahaha e qui vi volevo, anche di là fuori dai confini non è che si stia proprio bene, e in merito vi segnalo un articolo di Paul Petrone che vi farà accapponare la pelle, non perchè sia mal scritto ma per quello che racconta ecco il motivo del titolo Schiavi 3.0 .

PS. Non ho la presunzione di dare completamente la colpa a coloro che inseriscono gli annunci online e cercano personale e soprattutto molto umilmente non voglio vendere e/o promuovere il mio blog come l’ultimo capolavoro della narrativa italiana ok? Semplicità e umiltà prima di tutto e se arriva qualche critica costruttiva sarà ben accolta 🙂

Se volete dire la vostra sarete i benvenuti!! Un abbraccio a tutti

La “Vera” guida alla Social Media Strategy

Carissimi,

le vacanze sono terminate e devo dire che per quanto mi riguarda ho ricaricato le batterie ed ho respirato un’aria nuova più grintosa e ottimista! Al mio rientro mi sono chiesta: ” Le persone che si propongono come Community Manager o Social media Expert sapranno davvero realizzare una strategia ad hoc per il cliente? O brancolano nel buio?

Uno dei pochi strumenti per riconoscere i fake è proprio la Socia Media Strategy, una guida fatta per step obbligatori che spiega come raggiungere un obiettivo attraverso dei touchpoint (gli strumenti/new media). Premessa: non c’è la ricetta giusta per tutti, ma una linea da seguire che può dare delle ottime soddisfazioni.

Il mio compito (grazie anche al libro utilissimo e che consiglio intitolato: “STRATEGIA DIGITALE” editore Hoepli autori Laurita e Venturini) sarà quello di fornire un micro schema che vi aiuterà a ragionare per punti ed a realizzare un’azione efficace che porti maggiore visibilità al vostro brand, oppure che riposizioni al meglio un prodotto mal percepito!

foto1

 

Ecco i punti chiave (se avete una penna iniziate a prendere appunti):

1) Valutiamo l’organizzazione Interna (se ad esempio siamo un’azienda che produce e vende occhiali da sole, dovremmo capire se abbiamo le competenze tecniche nel nostro staff in ambito digitale, successivamente definire il budget che di solito in questi casi è ridotto all’osso e prendere in considerazione un’eventuale presenza di agenzie ad hoc);

2) L’ascolto e/o Monitoraggio (cerchiamo di capire se il nostro prodotto è percepito bene, cioè se gli utenti in rete ne parlano in modo positivo, valutiamo contemporaneamente anche l’azione dei competitor). Questa fase è fondamentale per creare le fondamenta della strategia, se non so come vengo valutato dagli utenti non posso neanche attivare delle soluzioni, ricordate dalla crisi nasce sempre una grossa opportunità;

3) Gli Obiettivi (i punti di arrivo che ci prefissiamo, ad esempio migliorare l’immagine del brand, spingere le vendite di un nuovo prodotto ecc), ricordiamoci che questi traguardi dovranno essere facilmente misurabili;

4) Il pubblico di riferimento (a chi mi rivolgo? Che social network usano?), capire l’utente è il primo passo per il successo, non sottovalutiamolo!;

5) Il messaggio (i contenuti che veicoliamo, definire lo stile, il tono, la diffusione, le priorità sono un momento cruciale per la nostra strategia)

6) Gli strumenti (per relazionarci con i miei utenti è più efficace un profilo Twitter o una fan page su Facebook?) Piccola nota: Ogni social ha il suo stile, non tollero quelle aziende che pubblicano lo stesso contenuto su vari new media, ragazzi non funziona così!

7) Il piano editoriale (trovare l’argomento madre ad esempio per un noto marchio sarà il divertimento e il mondo dei clubber, da li sviluppare dei post/tweet e comunicati stampa che evidenzino quella dimensione e mood) L’organizzazione dei contenuti è fondamentale, una calendarizzazione che ci dica quando pubblicare e cosa è un modo per ridurre gli sforzi e ottimizzare i tempi;

8) Ho creato una Community? E se sì monitoriamola (la fase finale è una delle più delicate, creare un gruppo di soggetti fedeli, che siano vicini all’azienda non solo perchè fruiscono quel prodotto ma perchè ne condividono il sistema valoriale). Osserviamone i comportamenti e fissiamo delle regole (no alle parolacce, agli insulti, timing del feedback del moderatore ecc).

Questi otto punti chiave vi aiuteranno a capire come lavorare sui Social Network non è proprio un gioco da ragazzi, serve know how, tempo e tanta fatica credetemi. Quando si sente in giro che tanto per lavorare online bastano pochi soldi, personalmente so già che quell’azienda si sta scavando la fossa da sola!

Con questa conclusione vi lascio e se avete dei consigli da dare siete i benvenuti magari invece di 8 punti arriviamo a 10! Che ne dite?